Quale direzione?

Serene Seas Instagram PostNon scrivo su questo blog da tanto tempo, a dir la verità non so se c’è qualcuno in ascolto o se le mie parole andranno a vuoto.
Qualche giorno fa un paio di amiche mi hanno sollecitata a farlo.

All’inizio ero in dubbio. Da fare ce n’è: a casa si possono trovare mille attività e poi sto lavorando “in smart”, un qualcosa che mi obbliga a spingermi in là, oltre le mie competenze, approfittando di questa ondata digital alla quale l’emergenza Coronavirus ci ha obbligati.

In sostanza non scrivo perché non ho nulla da fare anche se, la maggior parte dei progetti che stavo realizzando è stata interrotta, cancellata o congelata. Scrivo perché vorrei condividere questo momento con voi, perché ho letto troppi articoli e ho percepito molta (giustificata) preoccupazione.

Ho letto un pezzo un paio di giorni fa. nel quale sono state riportate le parole di un tweet dell’autrice Michela Marzano la quale afferma di non riuscire a leggere in questi giorni.
Poi, qualche riga dopo ho letto la risposta di Nicola Lagioia, direttore del Salone del libro di Torino: “Sto facendo fatica anche io. È complicato riuscire a entrare nella giusta disposizione d’animo. Forse anche perché i libri di solito raccontano avendo come punto di vista il “dopo” mentre noi invece siamo nel mezzo del guado”.

Mi ha fatto riflettere: in pochi caratteri è riuscito a riassumere la risposta che stavo cercando perché ho lo stesso problema, leggo, tento di informarmi e di programmare qualcosa, ma poi, la stanchezza prende il sopravvento e mi sento in colpa perché ho tempo ma non lo sto usando come vorrei, come faccio di solito, come ho sempre fatto.
È vero, stiamo vivendo la fase “precedente”, quella dello sconquasso, quella in cui i pensieri disordinati, si muovono come palline di un flipper, facendoci oscillare, nello stesso arco della giornata, tra stati d’animo diversi e contraddittori. Forse non dobbiamo pretendere troppo da noi stessi, forse dovremmo imparare a stare seduti e aspettare.
Facile a dirsi potrebbe commentare qualcuno. Se hai perso il lavoro, se la tu attività è a rischio, se tu stesso devi scegliere se andare a lavorare senza tutela o se scioperare, c’è poca voglia di stare fermi e riflettere. Riflettere su cosa poi, potrebbe chiedersi qualcun altro.

Lungi da me dal voler dare risposte, non ne ho le competenze ma, come tutti, mi trovo coinvolta in questo mare di domande, e cerco di interrogarmi sul futuro, su ciò che succederà quando ci diranno che possiamo uscire.
Sì, ma per andare dove? Chi potrà tornerà al lavoro e chi non lo avrà più?
Quanto tempo ci vorrà per far tornare qui i turisti? E quanto tempo ci vorrà prima di far ripartire gli eventi? Io penso, e non lo dico io ma gli esperti di psicologia, che dimenticheremo tutto ciò e, nonostante la paura, le persone torneranno a muoversi, viaggiare, fare vacanze. Ma è necessario pensare che in ogni caso, la programmazione del primo semestre, è compromessa, e i tagli saranno tanti, inutile negarlo.
Che faranno i giovani? Prima, anni fa, nel periodo della crisi, in tanti sono fuggiti all’estero a cercare lavoro. Ma l’estero se la sta passando come noi, e anche là fuori pagheranno a caro prezzo questa emergenza sanitaria. Ci vorranno oltralpe se correremo da loro ai ripari una volta fuggiti?
Ci aiuteranno in questo Paese a rialzarci?
Per ora riesco solo a leggere lo scontento generale e la paura e, tra le varie categorie, emerge lo scoramento delle Partite Iva, di quelli che vengono definiti imprenditori di se stessi per i quali sono previsti 600,00 Euro al mese, il costo di un affitto di un bilocale in una piccola città, quelle grandi nemmeno le conto per non impallidire.

C’è poco da stare allegri anche a voler stare allegri ma, nonostante questo, faccio comunque fatica a comprendere chi insulta coloro che cantano dai balconi, o che tentano di unirsi metaforicamente parlando, collegandosi sul web. Massimo rispetto per coloro che soffrono, coloro che combattono in corsia, quelli che hanno perso i loro cari ma non dimentichiamoci che a modo diverso siamo tutti coinvolti in questa vicenda e che ogni forma di dolore e di preoccupazione e i mezzi per superarlo devono essere quantomeno rispettati.

Ci eravamo appena alzati da quella crisi che tra il 2008-2011 aveva raso al suolo le speranze di tanti giovani. Ora dovremo fare i conti con questa. Dovremo dare un nome e un cognome ai morti perché adesso sono solo numeri, purtroppo, e dovremo raccontare le loro storie e le loro vite.

Ora non si può, siamo bombardati e non sappiamo più a chi dare retta, leggiamo un articolo e poco dopo ne esce uno nuovo, poi c’è un video, una ricetta, una notifica, una conferenza stampa, il bollettino dei guariti e non, e tua madre che ti richiama all’ordine, la profe che ti cerca on line, il fidanzato che non esce più “e-se-superiamo-questa-sarà-amore-per-sempre-davvero-lo-giuro”, tuo figlio che corre per casa mentre lo rincorri per cambiargli il pannolino.

La mia è solo una voce in mezzo a tante altre, una voce della quale potremmo tranquillamente fare a meno e infatti, vorrei che foste voi a scrivere e raccontare le vostre riflessioni, lontani dai social, dai giornali, come se potessimo trovarci tutti faccia a faccia e discutere democraticamente del nostro futuro e del presente.
Magari in modo un po’ più intimo, seppur pubblicato sul web, perché va bene che ormai le nostre case, vite, cucine e corridoio sono in mondovisione ma c’è anche qui questa privacy la vorrebbe preservare.

Sarà utile? E chi lo sa.

Forse questo è il momento delle domande, per le risposte dovremo ancora attendere.

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