Apri tutto!

Grigio Hashtag Vista dall'alto Caffè Post di Facebook“Biascica apri tutto”. Quante volte abbiamo riso ascoltando questa battuta del regista René Ferretti, protagonista della serie TV Boris.

Smarmella, diceva René, alias Pannofino, quando si arrendeva a un quel bagliore diffuso tipico delle telenovelas, a una fotografia “che fa schifo ma è giusto così perché, se la fotografia è più bella della pubblicità, poi cambiano canale”.  E noi non vogliamo che la gente cambi canale. 

Ci prova Renè, vorrebbe fare le cose fatte bene ma poi capisce che non ha il budget, non ha gli attori, non ha un copione da seguire e alla fine si arrende e chiede a Biascica di “smarmellare”.
Apre perché tanto è così che deve andare. Lo scenario di Boris rappresenta ciò che sta succedendo oggi: qualcuno prova a fare qualcosa, tutti parlano, tutti dicono la loro tranne quelli che dovrebbero.
E allora tutto si rimescola, tutto torna possibile, il peggior attore diventa un eroe, il miglior assistente è un cretino perché s’impegna troppo, il meno visibile lavora per tutti e, alla fine, il regista accetta il compromesso perché “un’altra TV non è possibile”.

Non è possibile perché quella è una metafora, un modo come un altro per descrivere il pressapochismo che ci accompagna da secoli motivo per il quale decide di abbandonare la qualità e opta per il lassismo certo che quello sarà la soluzione, l’unica via di uscita.

Ma cosa c’entra Boris con il Coronavirus? C’entra eccome. Innanzitutto perché, dopo settimane di indecisione, di richieste di uscire dalla zona rossa, è stata finalmente definita una via da seguire: la chiusura. Non è stato semplice: contrattazioni, malumori, tanti gli attori ma alla fine è andata così. Ma cosa succede a pochi giorni dalla riuscita del progetto? Si rimescolano le carte e si chiede di aprire tutto. Di ricominciare. Non importa se allo stato attuale non c’è alcun modello, un Paese che ci dimostri che la tecnica del tenere aperto risolva il virus, ma lo si richiede comunque (Germania a parte che propone un test per analizzare chi ha sviluppato gli anticorpi e ipotizza un lasciapassare per tornare a lavorare).

Non importa se  è rimasto un solo leader a definire il virus una “mera influenza”, il Brasile con Bolsonaro che esorta la popolazione a lavorare definendo coloro che si rifiutano dei “codardi” senza intraprendere alcuna misura preventiva. (In realtà anche la Svezia non ha imposto limitazioni – a parte scuole e Università chiuse e assembramenti oltre le 500 persone ma per ora con 33 decessi e la popolazione che tace non ci sono elementi per valutare).

In ogni caso non siamo noi a decidere: è lui, l’invisibile. Quel virus capace di ribaltare la politica e paradigmi  E così i messicani sparigliano le carte e pensano di utilizzare il muro per difendersi dagli statunitensi affetti da Coronavirus mentre il crimine organizzato impone  il coprifuoco in Brasile prendendo quelle misure che, invece, dovrebbero adottare coloro che stanno dalla parte dei cittadini.

E allora Fora Bolsonaro urla la gente dai balconi. Lì non si canta, si urla, s’inforcano i mestoli, si sbattono le pentole, si suonano i clacson per rendere visibile la protesta contro il nemico: il virus e Bolsonaro.

Ma se è vero che non possiamo rimediare al passato e che “del senno del poi son piene le fosse” per citare le parole del Manzoni citato da Conte in conferenza stampa, è anche vero che forse potremmo imparare la lezione.

E qui inizia la storia di apri tutto. Oppure apri un po’, ma apri, afferma Renzi contrapponendosi alle decisioni del governo tentando una riconquista degli imprenditori, di Confindustria che chiede di ricominciare.  Anche se sarebbe da porre a Renzi la stessa domanda posta a Vincenzo Boccia, Presidente di Confindustria durante Piazza Pulita: “Se neanche i medici hanno le mascherine, come pensiamo di trovarle per tutti i lavoratori e farli tornare a lavorare?”. E chi lo sa.

Ma facciamo qualche passo indietro per capire la situazione.

Torniamo al 23 febbraio ad Alzano Lombardo, un comune italiano della provincia di Bergamo. Per farlo, riporto le parole di una lettera inviata da due operatori sanitari al quotidiano Avvenire. “Quel pomeriggio, due giorni dopo lo scoppio del primo focolaio di Codogno, vengono accertati due casi positivi di Covid19 all’ospedale Pesenti Fenaroli, almeno uno di loro passa dal pronto soccorso, un luogo angusto e affollato. L’ospedale viene immediatamente chiuso, per poi riaprire alcune ore dopo, senza che ci sia stato “nessun intervento di sanificazione e senza la costituzione nel pronto soccorso di triage differenziati né di percorsi alternativi (…). Nei giorni successivi si apprende che diversi operatori, sia medici che infermieri, risultano positivi ai tamponi per Covid19, molti di loro sono sintomatici”

E l’inizio del collasso, da lì a poco segue anche Nembro, un paese vicino ad Alzano che vedrà l’aumento esponenziale dei positivi.  Ci saranno le conseguenze della partita Atalanta- Valencia con positivi italiani e spagnoli e molto altro. Ricciardi

Ma andiamo al 27 febbraio, a 58 giorni da quel famoso 31 dicembre 2019 in cui i cinesi informano l’OMS in merito a strane polmoniti, a 27 giorni dalla dichiarazione dello stato di emergenza, a 4 giorni dal caso di Alzano Lombardo e 6 giorni dopo Codogno, quando ABI – Coldiretti – Confagricoltura – Confapi – Confindustria – Legacoop – Rete Imprese Italia (Confesercenti, Casartigiani, CNA, Confartigianato Imprese, Confcommercio-Imprese per l’Italia) – Cgil – Cisl – Uil firmano un Comunicato congiunto. In questo si legge: “Dopo i primi giorni di emergenza, è ora importante valutare con equilibrio la situazione per procedere a una rapida normalizzazione, consentendo di riavviare tutte le attività ora bloccate e mettere in condizione le imprese e i lavoratori di tutti i territori di lavorare in modo proficuo e sicuro a beneficio del Paese, evitando di diffondere sui mezzi di informazione una immagine e una percezione, soprattutto nei confronti dei partner internazionali, che rischia di danneggiare durevolmente il nostro Made in Italy e il turismo.

Ed ecco che torna il nostro Apri tutto, con una richiesta formale di avviare il Paese verso una rapida normalizzazione, in una fase che può essere descritta in tanti modi tranne che normale. Ma siamo al 27 febbraio e il Paese non si è ancora reso conto del pericolo reale. E allora il 28 febbraio esce il video “Bergamo is running” anche se, a dirla tutta, avrebbe dovuto uscire un “Bergamo is arranching” ma sorvoliamo.

Si tenta con quel video di far ripartire la città, esempio seguito da molti altri. I casi però aumentano, la paura come il contagio dilagano. Il 1° marzo la situazione appare chiara, si arriva a 209 casi a Bergamo. La Lombardia appare già come la regione più colpita.

Sempre il 1° marzo Bonometti, Presidente Confindustria Lombardia rilascia un’intervista a La Stampa. Titolo: “Marco Bonometti: “Così non basta, ora un piano che aiuti tutte le imprese. Presto ci sarà la recessione”.
Dichiara: “D’accordo che prima viene la salute, ma ora bisogna tornare a un clima normale se no il danno economico rischia di superare quello sanitario”.

stampa

E’ il 1° giorno di marzo, 29 giorni fa anche se ci sembra siano passati secoli e il peggio doveva ancora arrivare. Dovremo aspettare l’8 marzo per il decreto che prevede la chiusura della Lombardia e 14 province e l’11 marzo per riconoscere Italia zona da proteggere. Ci vorranno altri 11 giorni per chiudere tutte le attività considerate non essenziali  il 22 marzoIn totale quasi 3 mesi per mettere il Paese in quarantena.

Bene, ora che siamo riusciti a suon di minacce, di bollettini funesti della Protezione Civile, e lanciafiamme alle feste di laurea, ordinanze su ordinanze che si sommano ad altre ordinanze, si chiede di aprire e sono passati solo 7 giorni dalla chiusura.
Abbiamo impiegato 2 mesi per imparare a stare in fila e ordinati dopo anni di tentavi caduti nel vuoto; da pochissimi giorni gli italiani si sono arresi alla quarantena, ci sono volute conferenze stampa giornaliere per instillare nei cittadini il concetto di sicurezza e prevenzione; siamo riusciti a convincere la popolazione ad uscire solo per fare la spesa e una volta a settimana, abbiamo costretto in casa le persone spiegando che il sacrificio è necessario e ora si propone un’inversione di marcia. In poche parole è come dire grazie per i vostri sforzi ma in realtà è stata una pantomima, non servivano più di tanto.

Cosa abbiamo imparato dalla lezione? Quando da bambini correvamo e ci lanciavamo in avventure e cadevamo, i nostri genitori ci dicevano che cadere, inciampare è una lezione di vita e che gli errori sono la mappa della nostra vita, ci insegnano a percorrere strade che non conosciamo ma forti delle esperienze precedenti. E allora mi domando, cosa ci ha insegnato questa lezione lombarda? Ma soprattutto perché di aperture se ne  ne occupa chi non ha competenze sanitarie, proposta considerata folle dai virologi peraltro.

Renzi

E allora torniamo all’assunto di base, a Boris, al nostro René che si arrende, e dice apri tutto perché tanto un’altra TV non è possibile.

Apri tutto cara Italia perché poi la gente si arrabbia e cambia canale, o cambia preferenza di voto? Per René è andata a finire così, la serie TV si è conclusa e si è arreso pur di lavorare. Ma noi siamo ancora in gioco, abbiamo ancora in mano la matita che può tratteggiare il presente e il futuro e dare una speranza di vita a chi combatte per la vita.

Vogliamo davvero arrenderci anche noi? Oppure un’altra Italia è possibile?

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